Nato con lo scopo di proteggere le aquile reali, questo Canyon tutto italiano è tra i più belli d’Europa.
Si dice di non giudicare mai dall’apparenza, e in questo caso, a trarre in inganno è proprio il nome. Eppure, quel nome non è affatto casuale. L’Orrido di Botri nasconde una realtà più cupa, che solo chi conosce la storia può davvero cogliere. Questa riserva naturale nasce negli anni ’70 con l’obiettivo di tutelare le aquile reali, che già da tempo nidificavano nelle profonde gole del canyon.

Ma queste non sono gole qualunque: sono strette, e una volta imboccato il percorso, non esistono vie di fuga laterali. Quando ci si addentra, si può solo tornare indietro. E se questo aspetto può generare una certa ansia, è bene sapere che oggi l’Orrido di Botri è regolamentato (e controllato).
Insomma, nessuno rimarrà intrappolato al suo interno. Si può visitare con guida, oppure – per un’esperienza più suggestiva – anche in autonomia. Anche se, a essere sinceri, consigliamo di essere almeno in due. Non si sa mai. Detto ciò, proviamo a farvi assaporare almeno un po’ dell’ebrezza di questo luogo che, lo ribadiamo, vale la pena visitare almeno una volta nella vita.
Un canyon da camminare (e da sentire)
Sappiatelo: l’Orrido di Botri non si attraversa, si vive. Possiamo dirlo senza troppi giri di parole: è uno di quei posti che non somigliano a niente. Silenzioso, selvaggio, verticale. Si trova in Garfagnana, nel cuore della Toscana, incastonato tra i monti Tre Potenze e Rondinaio. L’ingresso è in località Ponte Gaio, nel comune di Bagni di Lucca, dove si lascia l’auto e si inizia a risalire la gola.

Il sentiero vero e proprio non c’è; si cammina nel letto del torrente Pelago, su ciottoli scivolosi e tratti d’acqua fredda che – inutile illudersi – finiranno nelle scarpe.
Nel punto chiamato le Prigioni l’acqua sale, ci si bagna fino alle caviglie e a volte anche oltre. Ma è qui che il canyon inizia a stringere sul serio, e il mondo resta fuori. Si va avanti così per un’ora e mezza, tra muschi, pareti altissime e qualche passaggio un po’ tecnico, fino al Salto dei Becchi. Lì ci si ferma. Si tolgono le scarpe, si affonda i piedi nell’acqua e si resta in silenzio.
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Un consiglio? Portate scarpe da trekking vere, non da ginnastica. Un casco – obbligatorio – lo danno anche in loco, ma se lo avete, meglio portarlo. E andate almeno in due, sempre. Niente musica, niente rumori: solo il suono dell’acqua e la gola che si richiude alle spalle. Basta questo per liberare la mente e, vi assicuriamo, è un vero toccasana.
Come potete immaginare, non è la classica escursione. È qualcosa di potente che rimane addosso. E quando si esce, si è un po’ più leggeri. Anche se, paradossalmente, lì dentro ci si sente piccoli come non mai.





